Prova
Locations of Site Visitors
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

varie

Ultimo Aggiornamento: 06/09/2017 19:40
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 2.588
Sesso: Femminile
06/09/2017 18:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

www.acam.it/persefone-demetra-e-il-frutto-proibito/
Ma questa e' la stessa divinita' sotto altre spoglie!!

di Mary Falco

Kore, amor mio, andresti a raccogliere un po’ di zafferano per la mamma? –

Questa situazione ricorda un po’ Cappuccetto Rosso ed effettivamente il lupo è dietro l’angolo, anche se invece di mangiarla in un sol boccone la fa precipitare sotto terra.

Kore (ragazza, fanciulla) era il nome di Persefone, la figlia di Demetra e la tradizione vuole che non andasse al fiume da sola, ma con le sue amiche Oceanine… inavvertitamente però s’allontanò dalle compagne, scorgendo sotto un platano gigantesco un narciso meraviglioso… nell’atto di raccoglierlo, vide la terra aprirsi ed uscire un carro da un guerra, guidato da un uomo nero, interamente armato.

Il bruto la rapì, e a nulla valsero le sue grida disperate.

Demetra, sola in casa, udì la voce della figlia ed uscì a cercarla, pur non sapendo neppure da che parte iniziare e tanto fece che trovò gli unici due testimoni del rapimento, Ecate ed Helios, il quale le spiegò l’accaduto: il misterioso guerriero era Ade, il fratello di Zeus, quindi bisogna rassegnarsi al volere degli dei, che avevano scelto per Kore nozze divine.

Demetra infatti è una “dea minore” che il matrimonio con Poseidone non ha portato all’Olimpo, visto che suo marito stesso non ci vive, in ogni caso non si rassegna per nulla, va all’Olimpo, minaccia di scatenare la carestia sulla terra e quando Zeus si rifiuta di riceverla, mette in atto la propria minaccia; segue un anno di carestia e di sofferenza tanto per gli uomini quanto per gli dei, che non hanno più sacrifici. Afrodite ed Era appoggiano Demetra, assicurando che ha agito nel suo diritto. Zeus deve intervenire e le invia la messaggera Iride, col comando tornare e riprendere le sue funzioni.

Demetra ripete la sua volontà di riavere con sé Persefone.

A questo punto Zeus manda Hermes da Ade con la richiesta di riportare Kore a Demetra.

Ade, da parte sua, si presenta all’appuntamento, ma rifiuta decisamente il ruolo di seduttore che gli è stato assegnato. Rapita? Persefone (rifiuta di chiamarla Kore) è stata consenziente fin dal primo momento. Anzi è un’amante passionale! Ha ucciso con le sue mani la povera piccola Menta, l’amante precedente, per pura gelosia. Quale pudica vergine si comporterebbe così?

Zeus accetta d’ascoltare la versione di Persefone, ma le pone una domanda insidiosa: non chiede se le è stata fatta violenza, ma solo se durante la sua permanenza ha mangiato qualcosa.

Curiosa questione, visto che il rapimento risale ad un anno prima! Evidentemente la condivisione d’un pasto trasforma il prigioniero in un ospite, mentre la povera Menta, al contrario, non aveva diritto alcuno!

Demetra protesta. Zeus insiste: se la fanciulla è a posto non ha nulla da temere!

La povera Kore, avvilita ed imbarazzata, confessa che un giorno, tormentata dalla sete, ha ceduto alla tentazione di accettare, tra mille prelibatezze della tavola imbandita, un chicco di melograno.

Zeus non sente ragioni: il matrimonio è considerato valido e d’ora in poi la sposa sarà costretta a passare un terzo di ogni anno col marito, in inverno, ed i due restanti terzi con la madre, risalendo alla luce in primavera. Demetra accetta e la pianura rifiorisce, non solo, ma da quel momento ella regala agli uomini un prodotto particolare: il grano, di cui ben presto diventa signora assoluta, dimenticando o quasi gli altri frutti.

Non ci sono parole per dire quanto la vicenda contrasti con la mentalità contemporanea.

E non fa nessuna meraviglia che i Misteri d’Eleusi prendessero le mosse da questo rapimento trasformato in matrimonio dal diritto e non certo dall’amore. Il loro inizio si perde nella notte dei tempi. Se ne trovano tracce nei documenti del VII secolo a.C., ma si hanno varie testimonianze della loro esistenza in epoca micenea (secoli XVI-XIII). Il culto è chiaramente di origine pre-ellenica e rimanda alle Dee Madri, presenti in tutto il Mediterraneo da tempi immemorabili. Tutta la civiltà cretese-egea venera la Potnia, ovvero signora, patrona, potente, ossia la terra, la Grande Madre, che dà la vita e sperimenta la morte per poi tornare in vita; depositaria delle forze della natura e del ciclo vitale, sempre raffigurata con una torcia alta nella sua mano, il fiore ancora chiuso, simbolo della virtù generante, e la melagrana matura, simbolo di fecondità e sessualità. C’è un naturalismo di base, in cui le divinità sono ctonie, cioè connesse con la terra, la vegetazione, il suolo.

Una breve riflessione sulle piante che entrano in gioco ci può aiutare a vedere dietro al mito: il risultato dell’azione è senza dubbio il frumento.

La coltivazione dei cereali, iniziata nell’autunno piovoso nella speranza della primavera, introduce tuttavia in questo generico culto della fecondità un elemento nuovo. Non si chiede più semplicemente alla terra di dare frutti, ma di privilegiare una coltura rispetto a tutte le altre, legittimando una particolare nota di fede e soprattutto il lavoro dell’uomo. Dissodare, seminare, irrigare, mietere, trebbiare e conservare il grano fino alla stagione successiva è un lavoro a tempo pieno, che ancora l’intero gruppo alla terra; niente a che vedere con l’attività di raccolta esercitata dai cacciatori o con la coltivazione stagionale di un giardino.

D’altra parte l’introduzione del pane di frumento da una svolta definitiva alla qualità della vita: il contenuto di glucidi, lipidi e sostanze minerali quali potassio, fosforo e calcio, nonché il famoso glutine ne fanno l’alimento per eccellenza, anche rispetto agli altri cereali. La differenza fisica tra gli agricoltori stabili e le popolazioni aborigene che vivevano di caccia ha fatto nascere nel Nord Europa le innumerevole leggende del “popolo piccolo” fino a creare l’immagine della fatina o del folletto che abitano tra i fiori.

Una netta barriera fisica e poi sociale divide gli agricoltori stabili dagli altri. Il rapporto con la terra si fa attivo e faticoso. Ad una più o meno lieta accettazione della realtà si sostituisce un intervento netto che sostituisce boschi ed acquitrini in campi coltivati e poi difende con braccio armato il territorio così trasformato da chiunque voglia goderne. Ecco dunque la necessità di messaggi di vita e di speranza oltre alla morte fisica, che in tutta la civiltà umana coincidono con la coltivazione stabile dei grandi cereali e l’inumazione dei morti. Per chi volesse delle date si va dal 1600 a.C. in Egitto, col mito di Osiride al 900 a. C. nel Nord Europa, ormai completamente assoggettato ai Celti. La religione s’articola in tempi e modi diversi da un paese all’altro, ma il rito ripete sempre comunque annualmente ciò che è avvenuto una volta sola: è proprio il caso della vicenda di Persefone, ma anche di Osiride, Tammuz, Attis, Adonis, Dumuzi e Baldher tutti dei caratterizzati non da una definitiva resurrezione, ma dalla capacità “di tornare”, come “paredri” ovvero partners, da una dea “stabile”: Demetra, Iside, Isthar, Cibele, Afrodite, Inanna.

Solo Baldher non torna, ma resta a dormire fino alla fine dei tempi… tuttavia la sua storia è stata messa per iscritto dai monaci irlandesi, quando ormai da secoli la religione era una semplice eredità culturale, non più praticata.

Lo studioso Van Gennep nel 1909 li considera tutti “riti di passaggio”, poiché sanciscono il superamento di una condizione e possono riguardare tanto la collettività che il singolo. Si basano su un racconto “mitico” e la vicenda di una divinità, o meglio una coppia di dei, è la motivazione del rito e di ciò che esso celebra annualmente, ma si ripropone anche nei momenti essenziali nella vita, come la nascita, le nozze, i funerali, che sono anch’essi passaggi da uno stato ad un altro. Ma se nascita e morte interessano anche le popolazioni nomadi e guerriere, questo accento sulla terra madre come unico elemento di stabilità, nonché la convinzione che vada coltivata col sudore della fronte, è caratteristico dei popoli sedentari.

E comunque il grano non è certo il protagonista della vicenda.

Alle origini di tutto sta una raccolta di zafferano, a quel tempo erba officinale, anche se oggi l’uso in cucina e soprattutto le frequenti adulterazioni ne hanno fatto dimenticare l’uso depurativo. Gli erboristi esperti assicurano che è un toccasana per il fegato… ma raccomandano di coltivarlo in terrazza per essere sicuri della provenienza. D’altronde raccoglierlo nei prati era evidentemente una pratica pericolosa anche nell’antichità!

Quanto al narciso rappresenta uno dei pochi casi in cui mito e scienza s’incontrano perfettamente, dato che è un narcotico pericoloso, ben rappresentato dal fanciullo bellissimo che muore affogato mirando la propria immagine. Anche i più digiuni di psicoanalisi sanno poi che cosa sia il narcisismo… e quindi indirettamente anche quanto in bilico si metta una brava ragazza che invece di raccogliere zafferano per la mamma si lasci distrarre da un fiore del genere! E poi la menta, erba officinale ampiamente usata dalla farmacopea classica per le sue proprietà depurative e digestive, che qui viene personificata nell’infelice ninfa uccisa per gelosia.

Ma l’irreparabile è compiuto dal frutto del melograno (cibo proibito anche secondo i cristiani, infatti secondo la più antica tradizione orientale la mela offerta da Eva era una melagrana), straordinariamente simile alla capsula dell’oppio. Secondo alcuni studi la melagrana avrebbe sostituito il “vero frutto proibito”, le cui caratteristiche psicotrope sono in grado di aprire sì, le porte tra i vari mondi… ma anche restando al melograno vero e proprio, senza parallelismi che possono essere devianti, va rilevato il fatto che nonostante le indubbie proprietà disinfettanti (è forse il più efficace vermifugo che esista in natura) toniche ed antiemorragiche, viene attualmente usato con molta prudenza proprio perché leggermente allucinogeno e, in grande quantità, decisamente tossico. Naturalmente stiamo parlando dell’uso massiccio dell’essenza, ottenuta dai fiori e dalla corteccia, non certo del tranquillo uso di sciroppo di semi. Tuttavia Maometto, trecento anni dopo la distruzione dei templi pagani, raccomandava di consumare succo di melograno per cancellare l’invidia, facendo intuire una tenace tradizione legata all’uso del melograno come pianta sacra… e dal sacro al demoniaco il passo è breve.

Ma c’è un’altra vicenda in cui Persefone compare come dea degli inferi ed è la morte del bellissimo Adone, figlio di Mirra (un’altra piantina aromatica personificata da una fanciulla uccisa nel fiore degli anni) amato dalla bella Venere.

Ancora una volta Zeus interviene con la sua salomonica saggezza e non potendo dividere materialmente Adone in due lo costringe a passare sei mesi con l’una e sei mesi con l’altra, questa volta senza neppure chiedere il parere dell’interessato, che è un mortale e non figlio di una dea, come Persefone.

Va rilevato che la rosa sacra ad Afrodite ed il melograno hanno le stesse proprietà antiemorragiche, ma la rosa non ne condivide le controindicazioni.

Ecco ancora una volta sottolineato l’aspetto del frutto fatale, che porta alla morte.

S’è visto che il più antico culto della madre terra la rappresentasse col melograno e non già con le spighe.

Alle origini il rapporto madre figlia prevedeva un diverso equilibrio: il melograno è il frutto antico, uno dei primi coltivati, il grano più recente, per non parlare della menta, erba dei prati che può essere schiacciata sotto ai piedi.

Vicenda di vita e morte in cui la fecondità stessa si ritrova attraverso il sacrificio e la sofferenza. Afrodite, che vive un’esistenza più “emancipata” rispetto alle dee della terra, rappresenta dunque un’evoluzione del culto originario e Mirra è una vera e propria anticipazione del sacrificio salvifico.

In Grecia Demetra è la Madre Terra e Persefone il soffio vitale presente nel grano: la speranza di fecondità e rinascita non è connesso alla sola esistenza della dea madre, ma al suo riunirsi alla figlia, creduta violentata e perduta. La spiga di grano rappresenta dunque il ciclo di vita: concepimento, crescita, morte e nuova vita, che si consuma nel lavoro e nel dolore. E per associazione anche i morti potevano tornare nel grembo della Madre Terra con la speranza di risorgere, ma solo se sepolti bene ed accompagnati dalle preghiere dei vivi. Spighe d’oro venivano seppellite con loro, mentre al contrario bamboline di frumento, custodite e venerate, ricordavano per tutto l’inverno la speranza della rinascita primaverile dei campi.

Entrambe le simbologie sono penetrate profondamente anche nel cristianesimo: le spighe sono tra i primi simboli sacri della pittura proto cristiana, mentre le chiese greco ortodosse ammettono nei loro porticati le bamboline di frumento, che sono comunque considerate in tutt’Europa innocenti porta fortuna. In Messico si è escogitato addirittura un crocifisso di paglia, con tanto d’aureola e di corona di spine!

Possiamo dunque dire che Demetra anticipa, con la sua disperata ricerca della figlia rapita, il concetto di passione, tanto necessario al lavoro dei campi quanto sconosciuto all’antica dea. Certo deriva dalla divinità selvatica e misteriosa il segreto delle trasformazioni, come la terra conosce la metamorfosi delle forme, la pausa e il risveglio, il nascere, morire e rinascere. Di qui l’etimologia del nome, che alcuni fanno derivare da “DaMeter”, dove Da sta per gea, ossia terra. La stessa radice si ritrova nel nome di Poseidone, fatto derivare da Poteidan, ossia marito di Da.

In origine egli è marito di Demetra.

Forse non è estraneo alla genesi del mito greco il fatto che la polis non vive di grano, ma lo compra aldilà del mare. Questa realtà socio-politica ha trasformato l’antica Dea Madre, indiscussa regina dai numerosi amanti, in una divinità secondaria e modesta, che vive ai margini dell’Olimpo ed è sposa del Dio del mare, ma non può vivere con lui.

Anche in Scandinavia Njordhr il dio del mare è padre del più famoso Freyr, divinità del grano e dell’abbondanza. La madre è talmente lontana e negletta che non se ne ricorda nemmeno il nome. La tragedia della morte-rinascita in questo caso è solo differita: la sorella di Freyr, Freia sarà appunto la disperata madre di Baldher, l’unico che muore per non risorgere più.. d’altra parte non sappiamo quasi nulla di riti nordici, dato che contrariamente ai Greci la discussione s’aprì dopo la conversione al cristianesimo.

In ogni caso senza morte e lacrime pare proprio impossibile coltivare grano!

Non si sa con certezza come e quando questa sofferenza si concretizzi in un rito misterico.

Si potrebbe ipotizzare che i culti di fecondità diventino mistici a partire dal momento in cui si aggiunge l’elemento dell’iniziazione individuale, coltivando la speranza di una beatitudine dopo la morte. Il “fedele” che partecipava alle vicende degli Dei e diventa familiare con essi, può godere di tutti quegli effetti benefici che scaturivano dalla risoluzione positiva della vicenda del dio.

Come fonte principale partiamo dall’Inno a Demetra, attribuito ad Omero, ma scritto più tardi, la cui datazione è incerta, di circa 495 versi. Il poema termina con l’invocazione delle due dee ed una promessa di ricchezza ai loro devoti, sia in questa vita che in quella futura:

“….E Demetra a tutti mostrò i riti misterici a Trittolemo… i riti santi, che non si possono trasgredire ne’ apprendere ne’ proferire: difatti una grande attonita atterrita reverenza per gli dei impedisce la voce. Felice colui – tra gli uomini viventi sulla terra – che ha visto queste cose: chi invece non è stato iniziato ai riti sacri, chi non ha avuto questa sorte, non avrà mai un uguale destino, da morto, nelle umide tenebre marcescenti di laggiù’.”

Chi è Trittolemo?

Sarebbe semplice rispondere: il primo fedele a Demetra, che accettando di entrare vivo nell’Ade per sottrarvi Persefone, meritò di fondare i sacri riti, ma prima è necessario osservare diverse cose, perché rispetto alla vicenda narrata in precedenza son subentrati parecchi cambiamenti. Demetra è presentata come una dea completamente diversa: diventa moglie legittima di Zeus e madre di Dioniso. La caduta di Persefone è per certi aspetti volontaria, o almeno causata da una sua eccessiva curiosità terrena e separa la fanciulla dall’unità familiare, tanto che proprio per salvarla anche Dioniso s’incarna ed i Titani lo fanno a pezzi.

Zeus non interviene e questo provoca una grave crisi fra i due sposi.

Ecco dunque Demetra abbandonare offesa l’Olimpo e recarsi tra gli uomini, sino ad approdare nella pianura Nisea, accanto alle foci dell’Ilisso, dove questa tradizione colloca il rapimento; di qui giunge ad Eleusi, mascherando la sua vera identità sotto le spoglie di un’anziana nutrice. In questa veste giunge alla reggia, incontra le figlie di Celeo, il re locale, che la conducono al cospetto di Metaneira, loro madre e regina. Questa le offre il trono, ma Demetra si siede su un rozzo sedile, più angosciata che mai, rifiuta il vino rosso offertole, e chiede il ciceone che secondo alcuni era una bevanda preparata con acqua, farina e menta, secondo altri birra o addirittura una mistura allucinogena ricavata dai narcisi. Accetta d’occuparsi del piccolo figlio della regina, Trittolemo appunto, che alleva come fosse un dio e tratta di notte con tutta una serie di rituali, quali l’unzione con l’ambrosia e l’immersione nel fuoco, allo scopo di renderlo immortale. Metaneira, scoperto ciò che succede, è terrorizzata: dopo un’invettiva contro la sua stupidità, che causerà al figlio la venuta della morte, Demetra si rivela e chiede che venga costruito un tempio in suo onore, dove insegnerà alla gente i suoi riti speciali. Poi scompare. Secondo un’altra versione invece Trittolemo è già adulto quando arriva la dea mascherata da vecchia e conquista la sua fiducia, perché rifiuta d’occuparsi di politica e coltiva invece personalmente i campi di grano. Demetra gli si rivela e lo convince a scendere consapevolmente nell’Ade alla ricerca della figlia.

In ogni caso il giovane non riesce e non perisce soltanto perché la riconciliazione fra Zeus e Demetra permette la rinascita di Dioniso trionfante, che solo può salvare la sorella.

Ma il mito giunto a queste forme è stato “rivisitato” da Pitagora e Platone ed è ormai molto lontano dall’iniziale rapporto col grano coltivato.

In epoca classica gli unici misteri riconosciuti erano quelli d’Eleusi, una città a circa 20 chilometri a nord ovest di Atene, sul golfo Saronico, di fronte all’isola di Salamina, dove folle di adoratori si riversavano, aiutati anche da un periodo di tregua di 55 giorni stabilito proprio per facilitare la partecipazione ai riti sacri, che godevano di grande popolarità ed erano patrocinati dallo Stato. Forse era un tentativo di controllarli, anche se in realtà si poteva gestire solo l’aspetto esteriore del culto quella parte tutto sommato modesta che si svolgeva pubblicamente: le abluzioni, gli immancabili sacrifici (questa volta l’animale sacro era un maialino da latte) il pasto a base di cereali e ciceone, la processione veramente spettacolare. Una strada, detta Via Sacra, era stata costruita proprio per questo evento. Ad Atene, ai piedi dell’Acropoli, al margine dell’agorà, c’era un santuario, l’Eleusinion, dove si svolgevano parte dei riti. Da qui partiva la processione, che si snodava da Atene ad Eleusi, lungo la piana di Cefiso fino al colle di Dafni, chiamato anche Kallikoros. Venne sospesa durante la fase finale della guerra del Peloponneso. Nel 407 Alcibiade, che era stato accusato di aver profanato i sacri misteri nel 415 a.C., mostrò la sua pietà religiosa conducendola nuovamente con la scorta dell’esercito (vedi Plutarco, Alcibiade 34, 3-6).

I misteri erano molto popolari anche perché, diversamente da altri riti, vi erano ammessi tutti: uomini e donne, liberi e schiavi, greci e barbari al di là d’ogni appartenenza sociale, purché parlassero la lingua greca e non avessero le mani macchiate di sangue I mystai (iniziandi) potevano ritornare l’anno seguente come epoptai (iniziati). La partecipazione ai sacri Misteri non costituiva l’entrata in alcuna organizzazione o struttura di qualsiasi tipo. Ogni iniziato, dopo la celebrazione delle sacre notti, ritornava alla sua vita di ogni giorno. Ma ogni mystes ricordava la sua esperienza e i symbola o synthemata che aveva appreso. La partecipazione ai Mysteria di Eleusi non era esclusiva. Si poteva partecipare ad altri sacri misteri ed essere devoti anche ad altri dei.

Pur esistendo altri culti di mistero che celebravano la rinascita annuale, quello di Eleusi aveva un ruolo privilegiato nella Grecia classica, anche perché costituiva un elemento aggregante notevole.

Gli ateniesi decretavano per mezzo di araldi un periodo di tregua per la celebrazione dei piccoli e grandi Misteri Eleusini. I celebranti erano magistrati civili e membri di due stirpi ateniesi: i Cerici e gli Eumolpidi, che continuarono a offrire i loro servizi dalla più remota antichità fino alla fine del IV secolo quando i cristiani soppressero il culto. I membri di entrambe le famiglie potevano celebrare i sacri riti. Nella famiglia degli Eumolpidi veniva scelto il primo sacerdote, che officiava le parti più solenni dei riti, aiutato dalla Sacerdotessa. Si chiamava hierophàntes letteralmente “colui che mostra gli oggetti sacri hiera” dato che è l’unico ad avere accesso alla stanza segreta, dove erano custoditi.

I Cerici ricoprivano le due cariche immediatamente inferiori: il daduchos (portatore della torcia), che accompagnava lo ierofante nei momenti più solenni, e lo hierokerux (araldo sacro), che aveva il compito di aprire ufficialmente i Misteri ed all’occorrenza richiamare al silenzio. Altre figure partecipavano alla cerimonia: il Prete che officiava i sacrifici animali, le sacerdotesse che prendevano parte al dramma inscenato e portavano gli oggetti sacri in processione, il basileus (re), periodicamente eletto dalla polis di Atene per sovrintendere alla organizzazione. Un collegio di epistatai (magistrati civili) si occupava infine delle finanze.

La celebrazione prevedeva due fasi: i Piccoli e i Grandi Misteri.

I Piccoli Mysteria detti anche semplicemente minori erano celebrati nel mese dei fiori Anthesterion (da metà febbraio a metà marzo) ad Agrai, un sobborgo di Atene. Avevano la funzione di purificazione preliminare con abluzioni nel fiume Ilisso e celebravano la nascita della natura, ovvero il ritorno di Kore sulla terra; ci si recava alle processioni vestiti di lino leggero, incoronati di zafferano e narcisi. Durante le feste ci si asteneva dalla carne e dal vino, si mangiavano cereali e si beveva il famoso “ciceone”.

I Mysteria maggiori erano celebrati nel mese di Boedromion (da metà settembre a metà ottobre) ad Eleusi, e duravano 9 giorni, dal 15 al 23; in cui gli iniziati seguivano una serie di azioni rituali.

Dapprima si trasferivano gli oggetti sacri da Eleusi all’Eleusinion, recinto sopra l’agora; la processione era doppia: da Eleusi ad Atene, e sei giorni dopo da Atene ad Eleusi.

Il 16 di Boedromion (il primo di ottobre) avveniva la convocazione degli iniziati, rigorosamente vestiti di lino, sotto la guida di un mistagogo a cui lo ierofante dava istruzioni sul da farsi. Partecipavano iniziati, iniziandi e giovani (efebi che rappresentavano il giovane Trittolemo ed avevano pertanto un trattamento privilegiato). A partire dal 330 a.C. gli efebi assunsero un ruolo progressivamente sempre più rilevante. Ancora nel III secolo d.C. si trovano disposizioni per il magistrato responsabile degli efebi affinché organizzi la processione secondo gli antichi costumi. vedi Inscriptiones Grecae 1078 (circa 225 d.C.).

Il 17 aveva luogo la cerimonia di purificazione. Gli iniziandi, accompagnati da mistagoghi, si recavano alla baia del Falero al grido di “Halade mystai” (Iniziandi al mare) e si tuffavano in acqua con un porcellino destinato al sacrificio. Dopo la purificazione tornavano in città, incoronati di mirto e con una veste nuova.

Il 19 partiva da Atene per riportare ad Eleusi gli oggetti sacri (hiera) sul fiume si svolgeva un’altra cerimonia di purificazione con un bagno rituale.

Alla sera la processione arrivava ad Eleusi, la cerimonia pubblica aveva termine nel cortile esterno del santuario ed iniziavano le celebrazioni riservate agli iniziandi. La notte era dedicata a danze e canti in onore di Demetra e Persefone.

Il 20 gli iniziandi digiunavano ed offrivano sacrifici.

Gli iniziandi non potevano bere vino, forse segno dell’antichità del rito, anteriore alla introduzione della coltura della vite. Lo sostituiva il ciceone, una bevanda sacra a Demetra, composta da acqua, farina d’orzo e menta. Forse si trattava di birra, conosciuta già nel III millennio a.C. dai Sumeri. Poiché la birra è prodotta appunto con la fermentazione dei cereali, poteva essere un’evoluzione naturale della ricetta originaria, aromatizzata con menta per tutti e con zafferano e narcisi per gli iniziati. (all’epoca lo zafferano non aveva nulla a che vedere col risotto milanese)

Nelle notti tra il 21 e il 23 le cerimonie segrete si svolgevano nel telestérion, un ampio locale sotterraneo coperto, che poteva contenere centinaia di persone. È l’unico che, trovandosi completamente tagliato nella roccia, si sia salvato dalla distruzione. Aveva forma rettilinea, ed era costruito attorno ad una costruzione più piccola, ovvero l’anaktoron, vicino cui vi era il trono dello ierofante. All’interno vi era una gradinata dove gli iniziati prendevano posto. Una foresta di quarantadue colonne di marmo nero (caratteristico di Eleusi) impedisce qualsiasi rappresentazione, alcuni però sostengono, che l’assenza di camere sotterranee ed altro che possa far pensare ad una scenografia non esclude l’uso di scenari di legno, che venivano poi gettati. In questo caso forse s’inscenava un viaggio simbolico negli Inferi, accompagnato da tutte gli orrori che attendono i non iniziati, contrapposti poi ad immagini contrarie, beate, che gli iniziati avrebbero guadagnato. È ormai quasi certo che la storia di Persefone non fosse oggetto di un dramma vero e proprio, ma solo d’una recita e forse erano anche previsti momenti di silenzio per una meditazione personale. Per questo era tanto importante che gli adepti conoscessero la lingua. Lo stesso Pindaro parla dell’importanza del “vedere”, durante l’epopteia, le cose mostrate dallo ierofante, il quale recitava la formula: “Piovi, porta frutto”. In effetti, cosa gli iniziati vedessero è il mistero nei Misteri. La visione era accompagnata da una luce abbagliante, ed è anche probabile che consistesse nell’apparizione di Persefone dal mondo dei morti, nel senso di una rottura totale di barriere tra mondo infero e mondo terreno. Essere iniziato ad Eleusi voleva dunque dire ricercare l’armonia con la natura, l’unità tra mondo materiale e divino, tra vita e morte. Qui si giungeva ad un grado di conoscenza superiore, paragonando l’uomo alla vegetazione: le piante, che sembrano morire in inverno, rinascono, invece, più vigorose di prima, durante la primavera. Dal fondo della cripta si svolgeva il rito di iniziazione, che si concludeva con un grande fuoco ed una luce sfolgorante.

Nella prima notte si aveva l’iniziazione al livello più basso.

Nella seconda notte coloro che erano stati iniziati l’anno precedente divenivano epoptai.

L’atto rituale nei Mysteria non si eseguiva sull’immagine cultuale della divinità, ma sulle persone che partecipavano alla festa. Il mystes, l’iniziato, subiva i misteri, ne era oggetto, ma nello stesso tempo ne era soggetto.

I Mysteria erano la festa dell’entrata nell’oscurità e dell’uscita verso la luce.

In tutte le fonti, si parla anche di pane benedetto, e di simboli sessuali stilizzati. È probabile che l’iniziato toccasse un simulacro del grembo materno, il simbolo e la rassicurazione della sua sopravvivenza eterna. È chiaro che il contatto con le sacre cose era fondamentale, e rappresentava la comunione con il divino.

Finita la celebrazione, gli iniziati sarebbero tornati ad Atene non in processione, ma privatamente, perché era giunto il tempo di meditare.

Nei Misteri Eleusini non s’impartivano insegnamenti o dottrine, ciò che legava ed accomunava tutti era appunto la visione. È da riconoscere negli antichi misteri un alto grado di esoterismo. Anche ad Eleusi gli iniziati dovevano lavorare su se stessi, sapendo che ciò cui avrebbero assistito avrebbe mutato radicalmente il modo di vivere e di pensare. Erano pronti, cioè, ad affrontare il “rito di passaggio”, la cui prima fase è sempre quella della separazione dal vecchio status. L’alternarsi di buio fitto e luce intensa poi sta a rappresentare questo avvenuto passaggio. La “visione” dei sacri oggetti potrebbe simboleggiare la presa di coscienza reale di una conoscenza superiore attraverso la comprensione dei simboli. Poi, ecco il rientro nel mondo di tutti i giorni, quello dei profani, con la consapevolezza, però, che non sarà più lo stesso, che tutto è cambiato grazie al privilegio ottenuto con l’iniziazione.

Si passava, in sostanza, per tre tappe: la morte, rappresentata dalla notte, dal buio, dalla macerazione del seme nella terra durante l’inverno; la rinascita, rappresentata dalle fiaccole, dalla spiga di grano derivata dal seme morto solo in apparenza; il raccolto, ovvero il vivere con diversa consapevolezza il mondo materiale. Infatti, distaccatosi dalla sua forma mortale, l’iniziato intravedeva il principio che sempre rinasce.

Il rito era composto da dròmena (cose fatte), legòmena (cose dette) e deiknùmena (cose mostrate)

La segretezza dei Mysteria consisteva nella indicibilità della esperienza (pathein), indipendentemente dalla volontà dei partecipanti al culto. Il divieto di esplicitare le forme del culto si aggiunse a questa indicibilità fondamentale.

Non si aveva apprendimento (mathein) che all’inizio, poi si trattava di un mutamento di coscienza (diathetenai). Proclo scrisse che le teletai “provocano consonanza delle anime con il rito (dromena) in una maniera a noi incomprensibile, e divina, di modo che alcuni degli inziandi sono presi dal panico, colmi come sono di divino orrore; altri si assimilano ai simboli sacri, abbandonano la loro identità, acquistano familiarità con gli dei, e sperimentano la possessione divina” Proclo, In Remp. II 108 17-30 Kroll.

Vicini ai misteri Eleusini sono i Thesmophoria (Thesmoi=leggi e phoria=portare), celebrati nel tardo mese di ottobre in Grecia solo dalle donne. Anche qui vi era il sacrificio di un maiale, considerato simbolo di fertilità ed abbondanza.

I riti prevedevano digiuni ed astinenze e purificazioni, discesa nell’oltretomba, uso della magia per riportare la vita indietro dalla morte. Forse i due riti avevano le stesse origini storiche, tanto che anche in questi si manipolavano i Miloj, pani di sesamo e miele a forma di genitali femminili. Presso i Greci si parlava di mistero per indicare una verità nascosta, che poteva essere comunicata solo agli iniziati, a coloro i quali veniva imposto il silenzio, per difendersi dalle false interpretazioni. Nelle antiche religioni misteriche i mistagoghi, cioè i sacerdoti che presiedevano ai riti, si servivano di olio, acqua, miele, latte, fuoco, ed altro per trasmettere le forze soprannaturali ai fedeli, al fine di giungere ad un’unione con la divinità. Il contatto era cioè cercato per via simbolica e magica. Tutto ciò che faceva parte del rituale aveva importanza, dai colori, ai vestiti, agli strumenti, e soprattutto al tempo astronomico in cui si svolgevano.

Se tanta fama avevano appunto o misteri eleusini, non dobbiamo dimenticare l’eredità frigia e siciliana. Il mito di Dioniso e gli insegnamenti di Pitagora trasformarono l’antica vicenda di Demetra in un rito vero e proprio e se Eleusi fu, in epoca classica, la “fonte ufficiale” è proprio nei luoghi meno famosi che il mito ha lasciato maggiori tracce, anche perché erano troppo piccoli per subire una persecuzione.

La Sicilia, forse anche grazie alle numerose sette pitagoriche, diventa la seconda patria di Demetra, tant’è vero che il rapimento di Persefone viene “rivissuto” nella pianura di Enna, con una curiosa variante: qui la stagione ingrata in cui la dea dei fiori è sotto terra non è l’inverno piovoso e mite, ma l’estate riarsa, in cui in effetti il grano è già stato mietuto. Si dice che in Sicilia l’epoptai venisse condotto in una radura spoglia, a ricordo dell’ira di Demetra. All’interno di un circolo formato dagli altri iniziati prendevano posto lui, lo ierofante e l’assistente. Le fiaccole si spegnevano all’improvviso, il silenzio era totale. A quel punto lo ierofante urlava: “Sia interrato come i morti, vivo! Vivo, venga interrato come i morti”. La prova dunque consisteva nello choc di essere sepolto in un cunicolo come il seme sottoterra. Doveva affrontare la morte rituale, e quando si “riprendeva”, non si trovava più nel cunicolo, ma di fronte allo ierofante che gli mostrava un chicco di grano maturo. Avendo sperimentato, al livello immaginativo, il destino del seme, egli aveva coscienza di recare in sé un’esistenza non più individuale del corpo, ma superindividuale dell’anima. Alcuni studiosi sostengono che la visione consistesse nello sperimentare il passaggio attraverso i 4 elementi: dalla terra al fuoco all’aria all’acqua, ammettendo in tal senso un forte legame con l’alchimia. Sembra che nel corso delle cerimonie fosse tracciata una croce a forma di Tau sulla fronte degli iniziati, e venissero loro richiesti dei ramoscelli di acacia (probabilmente di Costantinopoli, perché la robinia e l’albero di Giuda vengono dall’America) come simbolo di immortalità, forse perché tale pianta apre e chiude le proprie foglie ad indicare la nascita e la morte.

Ma la Sicilia, inutile dirlo, è anche la patria di Venere Ericina… col relativo culto che resisté fieramente alla cristianizzazione dell’isola.

Morte ed amore, Proserpina e Venere innamorate dello stesso Adone a due passi da Pitagora, che predicava la castità!

La vicina Campania diventa invece casa di Dioniso, con chiaro riferimento alle colture del grano e della vite ed al ruolo preminente nell’economia romana. E particolarmente significativo resta il fatto che mentre la dea delle messi romana Cerere (dalle radici di “cresco” e “creo”= crescita personificata) eredita acriticamente le vicende di Demetra e Proserpina condivide con Persefone il regno dei morti, le confraternite dionisiache, che pure fiorirono in epoca imperiale e cristiana, rifiutarono sempre di chiamare il loro dio Bacco, perché erano gelosi dell’eredità misterica di Dioniso e ritenevano la figura del dio romano troppo volgarizzata dall’adattamento alla plebe.

Presso gli Etruschi gran parte delle funzioni di Cerere erano assorbite da Uni, dea del focolare e della famiglia, molto simile alla romana Giunone. A lei erano dedicati riti misterici femminili ed in suo onore s’esercitava anche la prostituzione sacra con la relativa accettazione di “fanciulli divini”. L’Afrodite etrusca invece “Tyran” restava più legata ai culti dell’oltretomba che dea dell’amore.

Ancora più segreti i riti celtici e germanici.

Dobbiamo tuttavia guardarci da un’interpretazione troppo dolce di Cerere, carica di messi e sorridente! Era la personificazione romana della “crescita” ancora vicinissima alla “Tellus mater” che veniva festeggiata durante i Fornicidia con il sacrificio di vacche gravide, erano dedicate dei giorni di festa in aprile, i Cerealia nei quali venivano sacrificate delle scrofe gravide. Si hanno documentazioni di come questa divinità non solo presiedesse la fecondità dei frutti della terra e degli animali ma di come fosse legata anche al matrimonio, sia nei rituali di nozze sia nella separazione. Esisteva una legge chiamata “legge di Romolo” che imponeva che i beni del marito che allontanava la moglie senza che lei si fosse macchiata di adulterio, sottrazione delle chiavi o dell’avvelenamento dei figli, fossero per metà dati alla moglie e per metà consacrati a Demeter. La terra nasconde nelle sue profondità il “regno oscuro”, il culto di queste dei era legato anche ai riti funebri. Nell’antica Roma esisteva una porta di comunicazione fra il nostro mondo e il mondo ctonio, questa porta fra ciò che muore e ciò che nasce detta Mundus era sacra a Cerere e si trovava all’interno del suo santuario. Un ultima curiosità: esiste un’iscrizione su piombo contente una maledizione nella quale si consegnano per tre volte i maledetti a una Cerere Vendicatrice.

Le religioni misteriche, rispetto a quelle ufficiali, non si rivolgevano dunque al cittadino, non officiavano riti affinché gli dei proteggessero lo Stato, ma si rivolgevano all’uomo, all’individuo, che entrando in stretta familiarità con la divinità, si creava un’aspettativa soteriologica, ovvero la salvezza anche dopo la morte. Per questo motivo potevano prendervi parte, in una scelta cosciente, tutti, a prescindere dalla loro classe sociale. Fu forse per questo che le classi tenute ai margini della società, le donne, gli schiavi, i meno abbienti, videro in tali culti la possibilità di trovare un’identità che spezzasse la logica dell’appartenenza sociale e divenisse invece esperienza personale, perché, nell’obbligo di osservare il più totale silenzio sull’essenza stessa dei riti, da un lato si creava un’altra comunità, quella degli iniziati, che s’incontravano separatamente, di notte, dall’altro ognuno instaurava un rapporto intimo con la divinità. In sintesi, le religioni misteriche seppero rispondere ai nuovi interrogativi sull’immortalità, sul reale rapporto tra mondo umano e mondo divino, tra corpo ed anima, collocando al centro del tutto quest’ultima e riconoscendole un’origine divina.

I misteri assicuravano la continuità dell’esistenza, la prosecuzione dell’essere, il divino rinascere, in cui la vita non è più esperienza del corpo, ma dell’anima. Infatti, la continuità tra madre e figlia (Kore è il grano in erba, Demetra è invece la spiga matura), che allude a quella tra morte e rinascita, indica che esse sono due aspetti di un unico processo, che, in quanto universale ed eterno, assicura la continuità dell’identità di ogni essere umano, non più legata ai vincoli spazio-tempo. La morte non è definitiva scomparsa, ma il passaggio all’immortalità: il seme gettato nell’oscurità della terra non muore, non cessa di esistere solo perché non lo vediamo, ma si prepara al suo rito di passaggio, che lo condurrà alla nuova vita nella spiga di grano.

Ma per quanto forte fosse la tensione spirituale dei gruppi misterici il termine mistico non può essere interpretato cristianamente come fuga dal molteplice e ricerca dell’Uno, come atteggiamento religioso in cui l’anima del fedele tende ad avvicinarsi a Dio, stabilendo un’interferenza tra due piani, quello umano e quello divino.

La Bibbia aveva tracciato un preciso confine tra la materia e lo spirito e per quanto le vicende del grano continuino ad essere simbolo di ricchezza e di resurrezione, il miracolo può essere compiuto sempre e solo da un Dio geloso ed esclude che l’uomo possa apportare qualcosa di diverso dalla propria buona volontà. Gesù Cristo si dichiarò egli stesso “pane di vita” e se più volte nelle sue parabole ricorse ai campi coltivati, sottolineò la necessità di staccarsi da qualsiasi speranza di realizzazione personale per entrare nel Regno dei Cieli. Mentre il romano era ben convinto che i suoi dei proteggessero il suo lavoro, il Vangelo ricorre proprio alla simbologia del grano per spiegare che chi semina non è necessariamente lo stesso che raccoglie.

Anche se in 2000 anni quasi nessuno l’ha fatto, il Cristianesimo rappresenta un rivoluzionario capovolgimento del pubblico e privato: mentre le religioni misteriche, almeno quelle “addomesticate” dei riti dionisiaci e di Eleusi, conservano una veste ufficiale agricola, che soddisfa le esigenze del grosso popolo e riservano la verità a pochi eletti, Gesù spiega bene che l’unica cosa che importa davvero è la salvezza dell’anima e questa va predicata e perseguita, se necessario fino alla morte, ritenendo superfluo o quasi tutto ciò che riguarda la vita materiale. Dare a Cesare quel che è di Cesare vuol dire in fondo rispettare il contesto politico in cui si è inseriti e lavorarvi instancabilmente all’interno, col proprio sacrificio, che tra l’altro non porta di per se’ alla salvezza, senza l’intervento della grazia.

Messaggio difficile anche per i suoi, quanto lo capirono gli altri?

E non era forse più vicino al continuo confronto con la morte suggerito dai misteri, piuttosto della tranquilla certezza del Popolo Eletto d’essere dalla parte di Dio?

La maggior parte dei cristiani schernirono i Mysteria, da cui si sentivano evidentemente minacciati, più che dalla stessa religione ufficiale pagana. L’esistenza di un cerimoniale segreto, con riferimenti alla vita sessuale, li turbava profondamente e fecero di tutto per dimostrare che era inutile ed indecente.

Ippolito nei suoi Philosophumena V 7, 34. fece notare che le due frasi recitate di fronte alla spiga di grano al culmine della celebrazione “Piovi”, guardando il cielo, e “Porta frutto”, guardando la terra, ritenute segrete, comparivano sull’iscrizione di un pozzo presso la porta di Dipylon ad Atene e concluse: “touto … estì tò mèga kai àrreton Eleusinìon mystèrion” =”Ecco il grande ed indicibile mysterion elusino” L’ironia dei Padri della Chiesa resta legata a queste formule, che non erano segrete. Un altro cristiano, il vescovo Asterio, scrivendo intorno 440, quando ormai i pagani non potevano più smentirlo, affermò che una ierogamia avveniva in una camera sotterranea del santuario e concluse “una gran folla crede che la propria salvezza dipenda da ciò che fanno i due (lo ierofante ed una sacerdotessa) nelle tenebre” Engomion per i Santi Martiri, in Patrologia graeca, vol. XL, col. 321. Ovviamente non è stata trovata alcuna camera sotterranea, nonostante gli scavi nel telesterion siano arrivati fino alla roccia. In realtà ciò che veramente turbava i cristiani era l’esistenza di una religione apparentemente tanto simile e di fatto radicalmente diversa dalla loro. È tuttavia a queste fonti e agli scritti di autori pagani, più che reticenti, che dobbiamo inevitabilmente riferirci, mancando qualsiasi notizia certa circa la vera essenza dei misteri.

Nonostante la condanna dei Padri della Chiesa, i Misteri, che si erano celebrati per 2000 anni, continuarono ancora per centinaia di anni dopo l’arrivo del Cristianesimo.

Il santuario di Eleusi fu chiuso nel 391 da Teodosio il Grande, l’imperatore cristiano che dichiarò il cristianesimo religione di stato. Nel periodo compreso tra il 391 e il 393 d.C. la persecuzione contro i pagani venne intensificata, i loro templi vennero chiusi e la stessa fine fece il santuario di Eleusi.

La fu città distrutta nel 395 d.C. dai Visigoti, il santuario venne incendiato nel 396 d.C. dai Goti guidati da Alarico. Paradossalmente se oggi possiamo ricostruire i misteri è proprio per quello che ne dissero i cristiani per denigrarli, dato che i fedeli, al contrario, avevano l’obbligo del segreto.

[Modificato da sp3ranza 06/09/2017 19:33]
OFFLINE
Post: 2.588
Sesso: Femminile
06/09/2017 19:28
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota



L'uomo/uovo Narciso?
Pubblicato da nadia cinque il Mer, 06/09/2017 - 18:28.

Mi hai fatto venire in mente le diverse versioni di Narciso, che in realta' ha ben diverse radici...ma miti/storie/leggende sono state create per mascherare le prime informazioni relative a questa pianta usata per raffigurare particolari essenze/credenze di quelle epoche antiche...E naturalmente tutto finisce sempre nello stesso punto ignorato da quasi tutti i ricercatori attuali e travisato dai ricercatori dorgati che usano promuovono droghe, senza pero' dirci quello che ci e' stato tenuto celato per millenni e ci raccontano solo la parte positiva/affascinante di queste ipotetiche divinita' od alleati utilizzati dai nostri capi spirituali che un tempo erano anche politici ed oggi penso siano solo falsamente divisi e mi chiedo quanto sia cambiata la situazione da migliaia di anni addietro...Promuovere l'uso delle droghe perche' tutti i nostri illuminati/profeti ne hanno fatto o ne fanno uso, senza voler sapere/capire andare oltre ma presentandole addirittura come strumenti per divenire una sorta di dio in terra, non mi sembra intelligente e chiunque e' drogato di droghe o culti della old/new age od accedato dalla fame di carriera/potere/denaro, non puo' fare vera/seria ricerca perche' la sua mente/anima sono controllate da quei fattori...

Narciso si specchia nell'acqua che riflette la sua immagine tremante con le onde o con il suono della sua voce???

E' quello che mi ha fatto venire in mente il tuo scritto e poi leggendo le diverse versioni della stessa storia che mascherava una vecchia storia percedente, sono saltate fuori altre informazioni che non mi hanno sopresa affatto..anzi..hanno solo affermato quello che gia' percepivo da me ma speravo non fosse vero e questa parziale conferma l'ho trovata grazie al tuo testo che mi ha stimolata a fare confronti con versioni del narciso precedente alle leggende che gli sono state affibbiate.....

-------------------------

La pianta dei Piccoli Misteri che, stando alla documentazione pervenutaci, apparirebbe la più probabile fonte psicoattiva è il “bulbo invernale” del narciso. Nel prato di Persefone, il narciso è spesso insieme all’iris e al giglio. Sono tutte piante a bulbo la cui fioritura ha luogo all’inizio della primavera o anche nel tardo inverno, specie in climi temperati come quello della Grecia. Secondo Esichio, una varietà di narciso – oggi di difficile identificazione – era chiamata “fiore di Demetra” (Cassola, 1981: 468). Persefone fu rapita da Ade proprio mentre stava raccogliendo questi fiori e i Greci ritenevano che il termine narkissos originasse da narke, “torpore”, per via delle supposte virtù inebrianti del suo profumo.9 In generale, tutti i bulboi, le piante a bulbo, erano ritenuti dotati di potere afrodisiaco (Chirassi, 1968: 144). Ma Ruck propende per l’ipotesi che vede un fungo nell’enteogeno dei Piccoli Misteri, affermando che “taluni aspetti del simbolismo dionisiaco suggeriscono che il bulbo invernale possa esser stato una metafora o l’analogo di un’altra pianta che sembra spuntare repentinamente da un bulbo ovale seppellito nella terra fredda” (Ruck, in Wasson et al., 1978: 118), con palese riferimento all’Amanita muscaria. Nonostante la crescita invernale di questo fungo possa essere messa in dubbio, la sua conservazione, in seguito ad essiccazione, può renderlo disponibile in diversi momenti dell’anno. In Grecia la sua presenza, congiuntamente a quella della congenere A. pantherina – dotata di affini e ancor più potenti proprietà allucinogene – è stata registrata sotto boschi di conifere, faggio, castagno e quercia (Zervakis et al., 1998).

Nel 1984 Mark D. Merlin ha dato alle stampe un saggio sulla storia antica del papavero da oppio, avvalendosi principalmente dei dati archeologici. Dalle sue ricerche egli ha concluso che le origini dell’uso di questa pianta sono da ricercare nell’Europa centrale e che la pianta raggiunse la Grecia e altre regioni del Mediterraneo orientale durante l’Età del Bronzo Finale.

Nel capitolo che tratta la Grecia, a proposito dei Misteri Eleusini Merlin afferma che l’ipotesi ergotica non esclude che nel culto eleusino fosse impiegato anche l’oppio: “Penso che le spighe di cereale e le capsule di papavero da oppio tenute nelle mani o presenti nelle ghirlande delle raffigurazioni sia di Demetra che di sua figlia Persefone, non solo siano da intendere quali simboli del buon raccolto, bensì simboleggino anche l’esperienza stessa del culto” (Merlin, 1984: 228). Merlin si spinge oltre nell’associazione fra oppio ed ergot: questi avrebbero potuto essere presenti congiuntamente nella bevanda del ciceone, in quanto l’oppio possiede proprietà antidote all’avvelenamento con gli alcaloidi dell’ergot. In effetti, la papaverina, alcaloide dell’oppio, è considerata un efficace antidoto alle intossicazioni ergotiche, al pari dell’atropina presente nelle solanacee psicoattive.

Ariballo corinzio con raffigurazione di una figura femminile che tiene in mano una pianta di papavero da oppio e sta di fronte alle due dee eleusine Demetra e Core. Museo Nazionale d’Atene, cat. 287 (Callipolitis-Feytmans, 1970, fig. 7, p. 56)

L’ipotesi di una presenza dell’oppio nei riti eleusini non è da escludere. Raffigurazioni delle capsule di papavero da oppio, troppo spesso confuse con i frutti di melagrane, sono innumerevoli nell’arte religiosa minoica, greca e romana. E’ un emblema associato al culto della Dea Madre dell’Età del Bronzo, se non in periodi addirittura precedenti (neolitici), ovvero in quei culti da cui originarono i Misteri Eleusini e gli altri culti demetriaci dell’antichità classica. Accanto alla spiga di cereale, la capsula del papavero da oppio è l’emblema vegetale maggiormente rappresentato nelle raffigurazioni di Demetra.

Nel 1986, in un brillante saggio sui culti demetriaci, Sfameni Gasparro manifesta una certa difficoltà nell’accettare l’ipotesi enteogenica di Wasson e coll., affermando che un’eventuale ruolo dell’enteogeno “nel procurare uno status psicologico di esaltazione negli iniziati non esaurisce il significato storico-religioso del fenomeno misterico” (Sfameni Gasparro, 1986: 67, n. 144); una considerazione priva di grossi significati, in quanto ogni fattore o aspetto – pur essenziale – di un culto misterico non ne esaurisce mai il significato storico-religioso. La classicista italiana conclude frettolosamente la discussione dell’ipotesi enteogenica prendendo a dimostrazione della sua tesi un dato non veritiero: “in molti contesti iniziatici (..) intervengono talora cibi o bevande capaci di modificare temporaneamente lo stato mentale dei partecipanti, senza che la funzione e struttura del rito siano riconducibili a tale elemento” (ibid. 1986: 67, n. 144). E’ sufficiente osservare le mitologie e le cosmogonie dei popoli tradizionali relative ai diversi vegetali psicoattivi – dall’ayahuasca ai funghi allucinogeni – per comprendere come numerose culture hanno posto il vegetale psicoattivo, che offre “rivelazioni” e “illuminazioni”, al centro del proprio sistema religioso e come fulcro del proprio sistema interpretativo dei diversi aspetti della realtà e della vita (Samorini, 1995).

Nel 1987 Walter Burkert – noto studioso della cultura greca – affronta la questione dell’uso di droghe nei riti eleusini e mostra di essere a conoscenza dell’ipotesi ergotica. Ma, da quanto scrive, è evidente che non la comprende (ad esempio afferma erroneamente che nell’ergot vi sono a volte tracce di LSD) così come, più in generale, che non conosce la storia dell’uso delle droghe. In particolare, a riprova dell’improbabilità dell’uso di droghe nel Telesterion eleusino, riferisce l’esempio offerto dai libri di Carlos Castaneda, che, come è ben noto, non hanno alcuna validità antropologica. Ma il passo falso più vistoso Burkert lo compie nelle sue conclusioni, affermando che il fattore scatenante la “beatitudine” eleusina è individuabile nel banchetto ch’era posto a conclusione del rito: “Ci sono buone ragioni per sottolineare una forma più semplice e concreta di beatitudine comune che era presente in tutti i misteri antichi: il banchetto, ovvero il condividere un pasto opulento” (Burkert, 1989: 144-5). E’ sufficiente ricordare l’episodio della profanazione dei Misteri da parte di Alcibiade (si veda Il ciceone eleusino) per comprendere che ciò che era profanabile non era certo una situazione così profana quale un banchetto opulento.

Un ultimo interessante contributo alla discussione sulla psicofarmacologia eleusina è stato recentemente proposto dallo studioso sloveno Ivan Valenčič (1994). Dopo un’attenta descrizione delle più importanti teorie enteogeniche eleusine, critica l’ipotesi ergotica, puntando il dito sul fatto che non si è ancora riusciti ad ottenere una pozione sufficientemente enteogenica dall’ergot. Inoltre, accanto agli alcaloidi dell’ergot, la Claviceps paspali produce alcaloidi a nucleo indolico di tipo tremorgenico, fra cui paspalina, paspalicina e paspalinina (Cole et al., 1977; Gallagher et al., 1980) i cui sintomi principali negli animali e, forse, nell’uomo, sono tremori e convulsioni. Se questi alcaloidi tremorgenici sono solubili in acqua – afferma Valenčič – allora sarebbero stati presenti anche nel ciceone eleusino, appesantendo quindi gli effetti collaterali della bevanda. In realtà e a differenza di quanto riportato da Valenčič, non tutti questi composti indolici sono caratterizzati da attività tremorgenica, in quanto paspalina e paspalicina hanno mostrato non possederne (Cole et al., 1977: 1200). Solo la paspalinina e altri suoi due derivati ritrovati in sclerozi di C. paspali della Louisiana (con un totale dello 0.16%) possiedono significative proprietà tremorgeniche. Questi alcaloidi sono stati estratti dagli sclerozi con cloroformio, un fatto che fa dubitare della loro solubilità in acqua. Ma tutto ciò ha importanza relativa in quanto, come abbiamo visto, le spighe di Paspalum e il loro fungo parassita C. paspali non erano presenti in Grecia nell’antichità (cfr. nota 6). Valenčič conclude ritrovandosi d’accordo con Graves circa l’ipotesi della presenza di funghi psilocibinici nel ciceone eleusino. Ma non offre una critica approfondita all’ipotesi di Wasson, a tal punto da non accorgersi che l’ipotesi completa di Wasson già contempla i funghi allucinogeni come uno dei due enteogeni eleusini....segue...

Il resto lo cercate da soli...






[Modificato da sp3ranza 06/09/2017 19:40]
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 00:48. Versione: Stampabile | Mobile | Regolamento | Privacy
FreeForumZone [v.6.1] - Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com